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Il futuro delle città: l'assurdità del Modernismo 1. Edifici alti Nikos Salingaros (NS): Considerando gli avvenimenti tragici dell'11 Settembre, pensa che la nostra civiltà debba cambiare direzione riguardo al pensiero urbanistico? Il malessere di abitare adesso edifici molto alti identifica una crisi più ampia riguardante l'archittetura modernista in generale? Léon Krier (LK): Gli eventi tragici dell'11 Settembre influenzano il nostro intendimento e il nostro pensiero sugli edifici alti o bassi, sia per ragioni psicologiche che pratiche. Suppondendo che il "Pentagono" e una delle "Torri Gemelle" abbiano più o meno una uguale superficie utile (circa 500.000 m2) possiamo paragonare i danni relativi fatti da una uguale carica esplosiva. È evidente che si tratta qui di oggetti di natura fondamentalmente diversa (200 contro 2000 vittime). Immaginiamo che l'amministrazione del Pentagono fosse stata sistemata in un singolo grattacielo, possiamo riflettere sui danni causati per l'organizzazione della difesa nazionale degli U.S.A. per mezzo di un solo aereo civile. Contrariamente, immaginiamo che il World Trade Center fosse ospitato in isolati urbani di 4 piani tradizionali. Per fare danni paragonabili si avrebbe bisogno di circa 160 Boeing 737, invece di due. 2. Il grattacielo come tipologia sperimentale NS: In quanto è d'accordo con James Howard Kunstler e me quando affermiamo "che l'epoca del grattacielo è conclusa"; "che è una tipologia edilizia sperimentale fallita". Ci sono punti del nostro articolo La Fine degli Edifici Alti con i quali non è d'accordo? LK: Riformulerei la vostra citazione come segue: "L'epoca del grattacielo utilitario è conclusa". Non è l'altezza metrica ma il numero eccessivo di piani utili che pone problemi sistemici. La scienza e la tecnica applicata intraprendono esperimenti di natura meccanica e tipologica in condizioni controllate. Non si trasportano passeggeri civili su veicoli sperimentali: però, metaforicamente gli architetti modernisti continuano da tre generazioni a fare esattamente questo; letteralmente, costruiscono edifici che non sono pronti per il comune uso. 3. Passi sbagliati e ideologia NS: Domando se l'umanità, come lei la concepisce in scritti e conferenze, ha fatto passi sbagliati ed errori nella costruzione delle città e cosa si può fare adesso? LK: La società umana vive tramite esperimenti ed errori, talvolta commettendo sbagli di dimensioni monumentali. L'urbanistica e l'architettura modernista (simile al comunismo) appartengono ad una classe di errori dal quale c'è poco da guadagnare o imparare dal punto di vista disciplinare. Sono ideologie che letteralmente rendono anche persone intelligenti insensibili per sprechi, rischi e pericoli inaccettabili. L'errore fondamentale del modernismo, però, è di vedersi e proporsi come un fenomeno di valore universale esclusivo (dunque inevitabile e necessario) che deve legittimamente rimpiazzare ed escludere tutte le soluzioni di tipo tradizionale. Grazie a Dio ci sono state, attraverso le esperienze del New Urbanism, diverse esperienze positive in tutto il mondo negli ultimi vent'anni, le quali dimostrano un massiccio ritorno verso soluzioni di buon senso. 4. New Urbanism NS: Molti dei sostenitori principali del New Urbanism vedono nel suo lavoro una fonte di ispirazione. Quali sono le sue raccomandazioni per il futuro, nel caso che il mondo possa essere convinto a costruire nel contesto del New Urbanism? LK: Esistono già eccellenti modelli realizzati dal New Urbanism per vivere in nuove città di dimensione/densità media e piccola. Alcuni progetti per densità più alte si stanno completando soltanto oggi, ma non colpiscono l'attenzione dei grandi mezzi di informazione; certamente non paragonabile al battage pubblicitario fatto attorno alle realizzazioni neo-moderniste, tipo Guggenheim, ecc. ... Nonostante la mancanza di pubblicità, questi progetti hanno ovunque un notevole successo economico; l'idea di base è vincente ma prende più tempo del necessario. La spesa pubblica investita per rinnovare il patrimonio immobiliare modernista degli anni 50-70 è impressionante, però si sa che sono solo un mezzo per prolungare artificialmente utopie; cioè, esperienze collettiviste fallite. Il New Urbanism invece non è utopico, non impone piani di comportamento politico-sociali. Al contrario, permette una diversità infinita di talenti e ambizioni umane nel costruire ambienti armoniosi ed efficaci. Canalizza energie competitive in modo tale da poter far fiorire e vivere in buona vicinanza, permettendo ad ognuno di realizzare le proprie aspirazioni. Comunque, la grande sfida del futuro immediato sarà l'urbanizzazione dei sobborghi e il recupero delle aree sottosviluppate. I modelli teorici sono pronti, ma la loro applicazione è lenta. È una certezza che anche i luoghi più disgraziati possano essere rinnovati in modo da divenire luoghi di bellezza e di sviluppo umano; bisogna lavorare con le idee e le persone giuste. NS: Rimane un serio malinteso. I pianificatori e la gente in genere, incluso i responsabili politici e decisionali, non si rendono conto che le proprie proposte si applicano a tutte le città, indipendentemente dallo stile. La struttura urbana obbedisce a regole scientifiche indipendentemente dai luoghi. Esiste una dipendenza secondaria riguardante tradizioni, clima, risorse, materiali locali, ma queste differenze sono da lungo state sradicate con un approccio modernista uniforme. La pratica urbanistica corrente si articola in due immagini artificiali e separate della forma urbana: e cioè, centri storici tradizionali e classici, da un lato; un tessuto urbano in piena crescita, vitale e dinamico dall'altro. Questa mentalità risulta nel fatto che i responsabili politici di una città vi approcciano solo nel caso che vogliono specificamente rigenerarsi attraverso un canone neo-tradizionale. La mia domanda è dunque la seguente: È giusto pensare che gli appartenenti al New Urbanism, identificandosi con una maniera neo-tradizionale, si siano isolati nel processo pianificatorio dominante? Come si potrebbe correggere questo, e come potrebbe convincere i professionisti che il New Urbanism non limita stilisticamente? LK: Lei ha assolutamente ragione di insistere sul fatto che la struttura urbana è un complesso di reti organizzative che sono largamente indipendenti da questioni di stile. Molti progetti del New Urbanism sono realizzatti con un'architettura in stile tradizionale (in generale basato su un vernacolare locale) perché è così che preferisco operare; almeno per il momento. L'architettura modernista diffusa è in generale di qualità così bassa e arbitraria che è in generale totalmente inappropriata ad usi e climi specifici. I progetti del New Urbanism i più conosciuti e popolari quali Seaside, Celebration, Poundbury, sono evidentemente realizzati in una maniera neo-tradizionale. Ma esistono già grandi realizzazioni basate sui principi del New Urbanism, ma realizzati in architettura neo-modernista. Si può visitarle in Olanda, Danimarca, Germania; sono di una tristezza atroce e rimangono conseguentemente sconosciute, fanno sognare soltanto gli architetti. Personalmente, al momento evito di mescolare architetture moderniste e tradizionali. Primo: sono esperienze già fatte e sempre fallite. Secondo: giudicando dall'esperienza, un solo edificio modernista riesce talvolta a distruggere l'anima di un progetto largamente tradizionale. L'edificio di Steven Holl a Seaside ne è una dimostrazione notoria. Nessuno è contento del risultato; né i modernisti né gli utenti e neanche noi. I modernisti sembrano finora essere talmente confusi nelle loro idee, che sono incapaci di realizzare opere dalla coerenza e complessità di Windsor o Poundbury. La situazione è talmente disperata che Andres Duany ed io discutiamo della necessità di realizzare una città in stile modernista, solamente per dimostrare che non è una impossibilità; per mostrare semplicemente come si realizza. Un "design code" potrebbe per esempio limitarsi a un vocabolario di Le Corbusier di un certo periodo e produrre un ambiente urbano coerente e armonioso, basato sul buon senso, accettabile e comprensibile per la grande maggioranza degli utenti; lo stesso potrebbe essere basato sulla maniera di Frank Lloyd Wright, di Zaha Hadid o di Oscar Niemeyer. Gli appartenenti al New Urbanism non si sono filosoficamente limitati all'architettura tradizionale; però tanti architetti hanno notti insonni perché sono dilaniati tra vecchie e nuove alleanze. Direi che non si tratta qui di problemi trascendentali o morali ma di scelte tecnologiche. Ognuno deve decidere quale è la soluzione adeguata per la situazione, la geografia, la società, l'economia ... se il cliente è preparato ad assumersi rischi o meno, e poi di fare una scelta chiara. Se invece vi siete confrontati con una situazione politica complessa, raccomando sempre il vernacolare locale come architettura di base, perché rimuove le decisioni architettoniche dall'arbitrarietà e dal terrorismo intellettuale rappresentato dal moralismo modernista. Questa scelta riduce gli errori architettonici/stilistici ad un livello sopportabile e lontano dagli errori spettacolari dello sperimentalismo modernista. I dettagli e gli elementi architettonici tradizionali sono generalmente determinati dalla volontà di risolvere problemi pratici del costruire in modo logico, allorché lo stile deve rappresentare in generale qualche cosa di più; cioè, la qualità estetica con la quale si risolvono problemi di ordine tecnico. Quello che noi dobbiamo richiamare sempre all'attenzione dei modernisti dogmatici è che, in democrazia, anche l'architettura e l'urbanistica sono un insieme di scelte, che non si tratta di obblighi metafisici e che gli assoluti trascendentali sono una loro propria fabbricazione. Quelli che rifiutano l'esistenza di scelte in questa materia sono nei fatti anti-democratici, totalitari e, di fatto, non-moderni, quantunque futuristici possano apparire i loro edifici. 5. Carenza di terreni NS: Gli Architetti educati nella tradizione modernista delle nostre scuole non hanno lo stesso grado di rispetto per le proprie idee quanto chi fa parte del New Urbanism. Dicono che lei non rispetta né le serie pressioni demografiche, che sarebbero all'origine delle alte costruzioni nel terzo mondo, né le pressioni commerciali che operano nei centri urbani consolidati nelle varie parti del mondo. Può rispondere a questa critica? LK: All'eccezione di situazioni come Hong Kong o Montecarlo, non esiste correlazione necessaria tra pressione demografica e costruzioni altissime. Negli U.S.A. e nella U.E. l'argomento della "carenza dei terreni" è promosso da gente con interessi politici fortemente contrari, includendo quelli dei grandi proprietari e quelli degli ecologisti. Si tratta, infatti, di un mito fabbricato artificialmente e che si dissolve nell'aria quando prendiamo l'occasione di osservare questi contenuti dal cielo. Si capisce, allora, che le nostre città e paesaggi non soffrono tanto di mancanza di terreni edificabili e di una generalizzata congestione di edifici e strade, quanto di terreni mal lottizzati e male occupati, dunque di una politica di pianificazione debole. Per esempio, nello stesso periodo in cui Parigi raddoppia la sua popolazione nella seconda parte del XX secolo, disperde i nuovi edifici su una superficie 15 volte più grande del centro di Parigi, e questo nonostante la proliferazione di edifici altissimi. 6. Forze del mercato NS: L'ambiente costruito è creato da forze economiche, interessi speculativi, zoning funzionali, ecc... È possibile costruire un ambiente umano all'interno di queste restrizioni, sfortunatamente reali? LK: Le forze economiche sono vettori di energia e di imprese umane. Nessuna città può essere costruita senza di loro. La legislazione urbanistica ha avuto in molti casi, come obiettivo, quello di strangolare queste energie piuttosto che lasciarle fiorire. Il motivo era politico-morale: l'idea era di rimpiazzare una attività caotica imprevedibile con una politica dirigista e in generale legata ad un progetto politico-morale utopico. Invece i principi del New Urbanism non sono motivati da schemi trascendentali. Nella loro semplicità ed empirismo sono simili ai precetti morali, piuttosto che alla sofisticata tirannide delle riforme utopiche. Non sono prescrittivi ma piuttosto permissivi. In questa prospettiva, l'interesse comune, espresso attraverso lo spazio pubblico, è nella capacità di saper avvicinare realizzazioni tra loro contrastanti e variegate promuovendone il loro interesse. 7. La città elettronica NS: Vorrei conoscere il suo pensiero sulla città basata sullo sviluppo dei network elettronici. Che influenza avrà sulla morfologia urbana? LK: La rete, il tessuto tradizionale di strade e piazze, è il modo ottimale per sviluppare un terreno/spazio di qualunque dimensione. Non a caso moltissimi simboli dello schermo elettronico hanno origine nell'urbanistica tradizionale: il sito; la casa; la porta; la finestra; ecc... La rete elettronica completa la rete spaziale di strade e piazze, non è in concorrenza con queste e, di fatto, non può rimpiazzarle. Sarebbe un errore filosofico crederlo, come sarebbe erroneo credere che la ruota possa rimpiazzare la "gamba". 8. Tipologia edilizia NS: Un tema particolarmente urgente è il seguente: la struttura reticolare elettronica può avere conseguenze spaziali? La rivoluzione informatica genera enormi energie sociali e commerciali; in quale direzione agiranno queste? La città elettronica incoraggia lo sviluppo di tipologie moderniste o tradizionali? Oppure di entrambe? LK: Nuovi tipi di edifici sono generati da nuovi tipi di uso. Per esempio, l'aeroplano è la causa dello sviluppo tipologico dell'aeroporto, e non l'inverso. Però nuovi tipi edilizi possono generare delle attività non previste inizialmente: per esempio l'aeroporto che diviene un centro commerciale, il mercato romano (basilica) che diviene una chiesa cristiana, ecc... Non è l'impulso dell'innovazione creatrice che crea nuovi tipi di edifici; questo continua però ad essere un fantasma modernista largamente diffuso. Innovazioni tipologiche uscite da questi impulsi utopici sono in generale di poca durata. In senso stretto, non esiste una tipologia "modernista" ... per la semplice ragione che qualunque tipo edilizio che sia funzionalmente e formalmente stabilito, e dunque identificabile, nominabile e riproducibile, diviene ipso facto tradizionale; sia che fosse una discoteca, una torre di raffreddamento industriale, un palazzo per uffici o una casa. Esistono però tipi edilizi che risultano da una concentrazione eccessiva di una singola funzione sotto un unico tetto: queste sono aberrazioni tipologiche indipendentemente dal loro tipo di struttura costruttiva, o del loro stile. Il "grattacielo" e il "grattaterra" (cioè, un enorme edificio orizzontale basso che copre una grande superficie) utilitari rappresentano per me delle ipertrofie tipologiche. Sono, in generale, un risultato involontario e non riflettuto di meccanismi politici o finanziari; non sono il proprio del modernismo solo. Si potrebbe definirle come megastrutture inutili e paradossali. Costruire città composte unicamente di tali megastrutture è un incubo, perché profondamente disfunzionali e dunque inumani, asociali e antiurbane. Al contrario, possiamo immaginare una città interamente organizzata in tipologie edilizie e spaziali tradizionali, e realizzata in un'architettura modernista. Se funziona bene, se piace agli utenti, se si adatta al clima, alla topografia, e se è robusta, non vedo ragioni metafisiche per non farla. Però una città interamente concepita in forma di grattacieli e grattaterre, anche se costruiti con architetture tradizionali e materiali naturali, anche se di aspetto piacevole, corroderà profondamente le vite individuali e le relazione sociali; forse in modo meno crudele ma non meno radicale dell'equivalente modernista. Per riassumere in poche parole: non esiste una tipologia "modernista" propria, però il modernismo è stato particolarmente ricco di aberrazioni tipologiche. 9. Filosofia NS: Esiste una profonda perdita di rispetto per la diversità delle sensibilità umane... la tradizione edilizia che produce delle strutture modeste ma piacevoli è quasi svanita. In quale modo un mondo senza valori profondi può riconquistare una tale filosofia? LK: L'architettura e l'urbanistica tradizionale non sono una ideologia, neanche una religione o un sistema trascendentale. Non può salvare delle anime perdute o dare senso a delle vite vuote. Fa parte prioritariamente della tecnologia, del sapere delle tecniche piuttosto che del mondo degli stili o dell'arte. È un corpo disciplinare, una fonte del saper fare, che vi permette di costruire delle città soddisfacenti dal punto di vista pratico, estetico, sociale ed economico in situazioni climatiche, culturali, ed economiche molto diverse. Quelle strutture non assicurano la felicità delle gente, ma, invece, facilitano per la maggioranza delle persone la ricerca della loro felicità individuale o collettiva. 10. Effetti del modernismo NS: Certe strutture spaziali, avendo particolari qualità matematiche, assicurano un feedback sensoriale positivo per l'osservatore. L'umanità ha concepito queste strutture estendendosi dalla scala urbana a quella dei manufatti, in modo da dare senso all'ambiente umano. Non voglio parlare del significato della propria vita, ma piuttosto della ricchezza di valori nell'ambiente fisico che consiste in una complessità cognitivamente accessibile. L'agenda modernista, infatti, rappresenta un impoverimento radicale dei valori collettivi. Come si può spiegare un tale processo che è stato diretto contro la nostra propria consistenza fisiologica? LK: Il modernismo è una ideologia totalitaria che, come tutti i dogmatismi, è basato su supposizioni non provabili. Finora è stato incapace di tolleranza e perfino accettare opposizione, contraddizione o rifiuto. Se lei accetta questi presupposti fantastici, abbandona necessariamente parte delle sue capacità cognitive, e si rende cieco verso delle sconvolgenti evidenze, ignorando contraddizioni esterne ed interne. L'aggressione del modernismo contro la tradizione in generale (e non solo contro tradizionalismi obsoleti) doveva includere tutte le forme di sapere e di conoscenza che non concorrevano con una propria visione restrittiva dell'umanità, della storia, della tecnologia, della politica e dell'economia. Rappresenta una violazione sistematica dell'essere umano, tanto psicologica che fisiologica. Recuperare un tale stupro mentale contro l'esperienza umana, contro l'accumulo di intelligenza, istinto e sensibilità umana, occupava almeno la durata di tre generazioni. NS: Il modernismo ha rimpiazzato i modi tradizionalmente sviluppati per collegare sia gli esseri umani tra di loro che con le strutture materiali. La città come rete connettiva tra membri di una popolazione urbana è stata cambiata in una struttura spaziale con l'obiettivo di isolare. Questo principio si applica tanto a livello dell'interconnessione dei sentieri, facilitando gli incontri fisici, faccia a faccia, quanto al livello di interconnessione visuale tra un individuo e i componenti costruiti della città. Le mie ricerche rivelano che la città è un sistema di sistemi... con un'architettura logica (nel senso dell'architettura dei calcolatori elettronici) che si avvicina strutturalmente più al cervello umano che al calcolatore elettronico. Rompere le connessioni, un modo praticato dal modernismo, corrisponde a tagliare i circuiti o i cavi in un calcolatore, i neuroni in un cervello. Dopo decadi di condizionamento verso un mondo sterile, la gente ha finito per accettare la disconnessione come un modo di vita. Ci si domanda dunque: gli esseri umani hanno cambiato modo di vivere o non sono più capaci di valutare strutture spaziali che possono soddisfare i bisogni basici sensoriali e sociali? LK: La sua domanda contiene la risposta. Il modernismo funziona attraverso diverse forme di alienazione, riducendo l'autonomia personale, e dunque la capacità di agire, lavorare e pensare come individui indipendenti. È una forma di lavaggio del cervello radicale da cui pochi sono capaci di liberarsi. Milioni sono (stati) vittime di questo fascino tirannico, però con ogni nuova generazione, la natura sembra produrre antidoti potenti contro le massicce aberrazioni del passato; è questa la mia speranza. Léon Krier è considerato uno dei massimi architetti della nostra epoca, ed uno dei principali autori del movimento New Urbanism negli Stati Uniti. Nato in Lussemburgo, vissuto a Londra per vent'anni, oggi vive nel sud della Francia. È responsabile per il disegno del villagio Poundbury, costruito dal Principe di Galles. Il suo libro Architettura: Scelta o Fatalità (Laterza, Roma, 1995) è stato tradotto in sette lingue. Nikos A. Salingaros è professore di matematica all'Università del Texas, a San Antonio. Collaboratore di Christopher Alexander, è oggi riconosciuto come uno dei massimi teorici dell'architettura e dell'urbanistica. È autore di libri elettronici Principles of Urban Structure, e A Theory of Architecture. La prima versione di questa intervista è stata pubblicata su Internet per PLANetizen <www.planetizen.com> nel Novembre del 2001, successivamente per il periodico Urban Land nel Gennaio del 2002. La versione attuale è stata rivista ed ampliata rispetto alla versione originale. REFERENZE: La versione originale dell'articolo di James Howard Kunstler e Nikos A. Salingaros "La Fine degli Edifici Alti" è pubblicata in inglese con il titolo "The End of Tall Buildings" in PLANetizen <www.planetizen.com>, con una traduzione in Francese "La Fin des Bâtiments-tours" pubblicata par Archicool <www.archicool.com>. |